LINGUE ROMANZE
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I GIURAMENTI DI STRASBURGO (842) primo documento ufficiale in una lingua volgare neolatina Nitardo, nella sua Storia dei figli di Ludovico il Pio, riporta il racconto degli eventi che portarono alla stipula dei Giuramenti di Strasburgo. Le lotte per la successione di Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno, scomparso nell'840, avevano visto Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo prevalere in battaglia sul fratello Lotario. I due fratelli, proseguendo nella loro politica tendente ad evitare che il titolo imperiale, tramandato a Lotario, limitasse il loro potere in merito alla successione paterna, il 14 febbraio dell'842 si riunirono, a capo dei rispettivi eserciti, in civitate quae olim Argentaria vocabatur, nunc autem Strazburg vulgo dicitur. Nitardo fu contemporaneo degli avvenimenti che ci interessano. Morì nell'844. Nelle sue Historiae (l. III, c. V), pervenuteci in copia del X secolo, comunque molto fedele al modello - come documenta un marcato arcaismo del formulario - ci informa che, di fronte agli eserciti schierati Ludovico e Carlo pronunciarono il loro giuramento, dopo un preambolo in lingua latina, nelle lingue nazionali dei rispettivi eserciti: Ludovico il volgare neolatino francese e Carlo nella nascente lingua teudisca.
Riportamo le parole iniziali con le quali Ludovico intendeva farsi capire dall'esercito francese di Carlo, pronunziate in "romana lingua": "Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon frade Karlo, et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet, et ab Ludher nul plaid numquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit".
Carlo, rivolto all'esercito di Ludovico, ripeté il giuramento in "teudisca lingua": "In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi madh furgibit, so hald ib thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruodher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the, minan willon, imo ce scadhen werdhen".
Concluse la cerimonia il giuramento i due eserciti "utrorum populus", ciascuno nella propria lingua. |
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PLACITO DI CAPUA (960) primo documento ufficiale in una lingua volgare italiana
Documento col quale l'abate di Montecassino Aligerno chiedeva la restituzione di beni usurpati dai proprietari terrieri circostanti in seguito ad un'incursione dei Saraceni (883), che aveva causato la distruzione dell'abbazia.
Nel documento, scritto in lingua latina, una breve citazione in lingua volgare ha questo tenore: "Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti"
le richieste di Montecassino si ispiravano al diritto longobardo (leggi di Grimoaldo del 668 e di Astolfo del 754). Singolare notare come nella simbologia degli istituti giuridici di proprietà ai quali ci riferiamo un ruolo fondamentale avessero i giuramenti delle parti e dei testimoni (sacramentali) e soprattutto la guadia, contratto perfezionato dietro la consegna di un pegno simbolico e la traditio per fustem: la concessione simbolica e materiale di un bastoncino. Non è improbabile che si possano riscontrare analogie giuridiche e simboliche con tradizioni bizantine che portarono ad una identificazione di simboli come il contakion (bastoncino) con documenti veri e propri come i complessi condaghes. |
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DONAZIONE DI MARIANO I (1080-1085) Tra i primi documenti ufficiali in lingua sardo-logudorese
Il sardo occupa un posto a sé all'interno della classificazione delle lingue romanze. Mentre nell'Italia continentale, anche nei periodi di maggior chiusura non è mai cessata del tutto la circolazione di genti, merci, esperienze, cultura, la Sardegna è rimasta per lungo tempo isolata dal contesto esterno sia dal punto di vista politico, militare, istituzionale, sia da quello economico e culturale. Maturò così uno sviluppo linguistico che si caratterizza come originale. A differenza del testo volgare del Placito di Capua, concepito per rendere più comprensibile a tutti il significato del documento, con atti di questo tipo ci troviamo di fronte ad un uso del volgare che non risponde a criteri di questo tipo. Il volgare logudorese caratterizza l'intero documento e non è altro che la testimonianza dell'uso ufficiale di questa lingua all'interno della cancelleria giudicale. |
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CONDAGHE DI S. PIETRO DI SILKI (secoli XI-XIII) Intenti narrativi
Accanto alla finalità pratica e probatoria che ha determinato la stesura dei condaghes, Ignazio Delogu, nel volume "Il Condaghe di San Pietro di Silki. Testo logudorese inedito dei secoli XI-XIII, Sassari, 1997" sottolinea che da parte dello scriptor c'era sicuramente anche la volontà di "raccontare o meglio, di drammatizzare il racconto, anche attraverso l'alternanza del discorso diretto e indiretto e l'uso frequente del dialogo che non possono non essere oggetto di interesse e di studio proprio perché anticipano modalità di scrittura che presso altre varietà romanze troveranno la loro ulteriore definizione solo più avanti nel tempo." "Scrittura, quindi, come comunicazione, nonostante i limiti evidenziati dalla brevità e sinteticità del testo e dalla relativa modestia degli eventi, ma che proprio in quanto tale non si sottrae, da un lato, all'apprezzamento della dimensione umana del fatto, del quale induce a cogliere le implicazioni psicologiche e sentimentali; dall'altro alla sua comunicazione in termini narrativi." In base a queste considerazioni e ad altre, presenti nel volume citato, nei brani descrittivi del Condaghe di S. Pietro di Silki si potrebbero individuare le più antiche testimonianze dell'uso narrativo di una lingua romanza. |