ECONOMIA NATURALE o MONETARIA

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A. CASTELLACCIO, Economia e moneta nel Medioevo mediterraneo, Olbia, 2005, p. 92, non accetta 

 

"il convincimento che alla base degli scambi debba esserci necessariamente l'utilizzo di moneta, laddove in sua assenza lo scambio di beni (oggetti materiali, beni immobili, animali, servi) sarebbe sinonimo di un'economia di baratto."

 

Condivide la visione di Marc Bloch sintetizzata in queste frasi:

 

"le monete non sono necessariamente fatte di metallo prezioso, poiché si può immaginare che certe merci particolarmente pregiate o di prima necessità possano servire ad un tempo quale misura dei valori di scambio e/o mezzo di pagamento";... "nel baratto puro l'equivalenza delle materie scambiate è regolata ogni volta", ... "essa viene regolata in anticipo quando si tratta di monete, cioè di misure"

Continua:

 

"Ci pare questa la giusta chiave di lettura di certa documentazione isolana del secolo XII, con appendici nei decenni finali dell'XI ed iniziali del XIII (periodo di transizione da un'economia prevalentemente di baratto ad una monetaria), in cui sono attestati degli scambi secondo modalità e strumenti differenti che evidenziano l'evoluzione del sistema economico isolano."

 

Propone infine uno schema originale elaborato in base ad un accorpamento per tipologie:

  • A: valutazione di un bene nel segno del ricordo del valore monetario nominale che avrebbe avuto, se ancora in circolazione;

  • B: baratto vero e proprio;

  • C: permuta di beni con altri di valore programmato che assumono la valenza di moneta;

  • D: scambi in forma di baratto insieme con l'utilizzo di metallo prezioso (argento) indicato a peso (qui è evidente la fase di transizione da un sistema economico di baratto ad un altro in cui timidamente si affaccia la presenza di metallo prezioso, soprattutto nell'eventualità che possa trattarsi di argento monetato);

  • E: metallo prezioso indicato sicuramente a peso;

  • F: metallo prezioso lavorato, indicato a peso;

  • G: metallo prezioso sicuramente monetato, il cui valore va verificato a peso, posto che la progressiva diminuzione del titolo annulla l'iniziale equivalenza tra libbra unità di peso e lira unità di conto monetaria.

VALORE NOMINALE

Il valore nominale delle monete è quello indicato sulla moneta stessa. Nell’economia moderna è indispensabile disporre di mezzi di pagamento in quantità necessaria a regolare flussi di scambi sempre maggiori. Questo implica per le autorità monetarie la libertà di emettere moneta nella quantità che esse ritengono adeguata ad un buon funzionamento del sistema dei pagamenti.

Il riconoscimento del valore nominale della moneta dipende dalla fiducia che chi riceve in pagamento una certa quantità di denaro ha di poter cedere a sua volta tale denaro ad altri soggetti in cambio di altri beni e servizi. Questo "meccanismo fiduciario" garantisce che il valore nominale sia anche il valore reale della moneta o non se ne discosti troppo.

VALORE INTRINSECO

Il valore intrinseco di una moneta corrisponde al valore dello materiale o strumento (per esempio la moneta metallica o la banconota) usato come moneta. Esso dipende quindi dal valore del materiale che compone la moneta. Una moneta cartacea, ha un valore intrinseco pari al costo per produrlo, vale a dire pari al costo degli inchiostri, della stampa, del trasporto dalla stamperia alla banca, dei diritti sul sistema anti-falsificazione, ecc. Anche una moneta metallica, ha un valore intrinseco pari al costo per coniarla. Per le monete auree o argentee il valore intrinseco è dato dalla quantità di metallo prezioso fuso in ciascun pezzo. Per questo motivo questo tipo di moneta è adatto alla tesaurizzazione poiché il metallo prezioso contenuto non è soggetto a perdita di valore.

 

IL BISANTE

 

Il Bisante, moneta aurea bizantina (solitamente tra 4,5 e 4,8 grammi d'oro), viene ricordato nelle schede dei condaghes sia come moneta vera e propria sia, più frequentemente, come strumento di conto, come termine di riferimento in ricordo del vecchio valore della moneta. Gli esemplari più tardi ritrovati in Sardegna, che venivano conservati preziosamente, tesaurizzati, da chi li possedeva, risalgono al X secolo e testimoniano il perdurare di influenze culturali ed economiche nell'isola anche in un momento nel quale le istituzioni locali, i giudicati, o regni, si erano già sviluppate rendendosi indipendenti dal controllo esterno. Esemplari più antichi sono datati nei secoli precedenti.

Moneta aurea (solidus o bisante) di Constantino V, 741-775

peso 4,44 g., coniato a Costantinopoli.

Busto frontale di Costantino V con barba corta, col simbolo del potere, scettro e croce. Sulla faccia opposta busto frontale di Leone III (padre di Costantino V) con barba corta, col simbolo del potere, scettro e croce.

Nei secoli più antichi del Medioevo la moneta d'oro non era usata in Europa. Si preferiva coniare esemplari in argento o bronzo. Le prime monete ad avere una certa circolazione in Occidente furono quelle provenienti dalle regioni orientali del Mediterraneo, dal mondi islamico e da quello bizantino. Proprio da quest'area  provenivano i Bisanti, che prendevano la denominazione dal luogo d'origine, Bisanzio, la vecchia Costantinopoli, capitale dell'Impero. Solo con Federico II di Svevia la moneta aurea (l'Augustale del Regno di Sicilia) fu introdotta massicciamente in Occidente e precedette di poco il Fiorino di Firenze, la moneta aurea di maggior pregio e successo a partire dal 1252, e il Genovino di Genova.

Le monete auree furono usate da allora in poi nelle transazioni di grande valore, come garanzia nei pagamenti internazionali, e come suggello di valore significativo.

Il rapporto tra oro e argento si stabilizzò in quel periodo sul valore di 1:9.

La prima moneta non bizantina ad essere attestata in Sardegna è il denaro di Lucca, citato in un documento del 1089 a proposito di un suo multiplo di conto, il soldo (1 soldo = 12 denari / 20 soldi = 1 lira).

Solo alla metà del XII secolo sono attestate sporadicamente in Sardegna altre monete di area italiana, il cui uso era limitato, comunque, ad operazioni di commercio con l'Oltremare. Non si trattava comunque di monete auree.